Partito di Alternativa Comunista

Usa: protezionismo, libero scambio e complicità dei dirigenti sindacali

Usa: protezionismo, libero scambio e complicità dei dirigenti sindacali

 

 

 

di Ernie Gotta (Workers’ Voice, Usa)

 

 

 

«Sono il presidente dell'Uaw. Siamo pronti a lavorare con Trump», si legge in un titolo del Washington Post che ha scioccato molti esponenti del movimento sindacale. Shawn Fain, presidente della United Auto Workers [Uaw, sindacato del settore automobilistico], ha trascorso buona parte delle elezioni presidenziali del 2024 avvertendo i lavoratori di tutto il mondo che Donald Trump rappresenta solo la classe miliardaria e lo ha definito un «crumiro». Poi, il giorno prima dell'insediamento di Trump, Fain ha pubblicato un editoriale che spiega perché il suo sindacato deve avere voce in capitolo nello sviluppo della politica commerciale degli Stati Uniti.

 

L’appoggio dei dirigenti sindacali alle politiche protezioniste e razziste

In un editoriale, Fain ha appoggiato il piano di Trump a favore dei dazi e ha spiegato perché, a suo avviso, i dazi sarebbero un correttivo necessario dopo decenni di attacchi devastanti ai posti di lavoro e ai lavoratori statunitensi da parte di accordi di libero scambio neoliberalisti come il Nafta e l'accordo Usa-Messico-Canada (Usmca).
Fain non è l'unico leader sindacale a sostenere le politiche commerciali di Trump. Con che argomenti il sindacato United Steel Workers [sindacato dell’industria] ha cercato di ostacolare la fusione tra U.S. Steel e la giapponese Nippon Steel? A che scopo l'International Longshore Association, durante il suo sciopero, ha accusato le aziende straniere di non compensare adeguatamente i lavoratori statunitensi e di portare i profitti fuori dal Paese? Perché il presidente generale dei Teamsters [sindacato del settore autotrasporti], Sean O'Brien, parlando alla Convention Nazionale Repubblicana del luglio 2024, ha ripetuto la retorica dell’«America First» di Trump, dicendo: «Abbiamo o no bisogno di politiche commerciali che mettano i lavoratori americani al primo posto?».

O'Brien ha ribadito le vili idee protezionistiche anti-immigrati in un podcast in cui ha intervistato il senatore repubblicano Josh Hawley, che si maschera da amico dei sindacati. O'Brien ha dichiarato: «Penso che il problema più grande sia che la gente cerca di proteggere gli stranieri illegali che vengono qui e commettono crimini, e questo è inaccettabile. (...) Le questioni sociali vanno bene, ma proteggere gli immigrati clandestini che entrano nel nostro Paese per commettere crimini e rubare posti di lavoro è una pillola difficile da ingoiare».

 

Né libero scambio né protezionismo

Per molti, a prima vista, sembra logico che i sindacati si schierino a favore di idee protezionistiche dopo aver affrontato la carneficina provocata dal Nafta e dall'Usmca. Il cosiddetto «libero scambio» ha avuto un impatto profondamente negativo sui posti di lavoro e sui salari negli Stati Uniti, ma ha ragione Fain quando dice che le politiche protezionistiche incentrate sulle tariffe saranno la risposta per riportare il settore manifatturiero in questo Paese? Le politiche protezionistiche come i dazi, le quote di importazione e altri regolamenti governativi possono portare a un minore sfruttamento, a salari più alti e a migliori condizioni di lavoro per la classe operaia? No. La politica commerciale capitalista è fatta dai capitalisti a beneficio della propria classe. Che si tratti di «libero scambio» o di protezionismo, l'attuazione della politica ha lo scopo di proteggere e aumentare i profitti della classe dominante.
Ci sono momenti in cui i capitalisti hanno bisogno di maggiori entrate e favoriscono un approccio di libero scambio. Naturalmente, il libero scambio è «libero» solo di nome e in genere serve a sfruttare una nazione rispetto a un'altra. In realtà, gli accordi di libero scambio come il Nafta stabiliscono zone che consentono ai Paesi imperialisti una certa flessibilità nel rinviare le tariffe, nella gestione delle scorte e dei flussi di cassa. Questi accordi di libero scambio hanno permesso alle aziende statunitensi di chiudere le linee di produzione negli Stati Uniti, di attraversare il confine con il Messico e di super-sfruttare i lavoratori del Paese.
Questo ha funzionato per un po', dato che gli Stati Uniti erano l'indiscussa potenza egemonica e la principale economia, ma, con la restaurazione del capitalismo in Unione Sovietica e in Cina e la successiva ascesa di Cina e Russia come nuove potenze imperialiste, la situazione è cambiata in modo significativo. La rivalità inter-imperialista con la Cina, in particolare, sta spingendo alcuni capitalisti statunitensi a favorire politiche protezionistiche per erigere barriere e danneggiare la concorrenza.

 

Sulla pelle dei lavoratori

La guerra commerciale che ne deriverà sarà probabilmente un motore dell'inflazione e graverà maggiormente sulla classe operaia, non solo negli Stati Uniti ma a livello globale. Si potrebbe anche trarre la conclusione che un'escalation della guerra commerciale potrebbe essere la base per trasformare la rivalità inter-imperialista in una guerra calda.
Trump ha detto più volte che le tariffe sono pagate dai Paesi stranieri. È vero? No! Sebbene i dazi possano avere un impatto negativo sui Paesi stranieri, in ultima analisi sarebbero gli importatori statunitensi a pagare la tassa direttamente al Tesoro degli Stati Uniti, per poi recuperarla facendo pagare ai consumatori statunitensi prezzi più alti. Trump lo sa, ma ha creato una narrativa secondo cui gli Stati Uniti vengono sfruttati nel commercio globale. Su X ha scritto: «Questa sarà l'età dell'oro dell'America! Ci sarà da soffrire? Sì, forse… e forse no! Ma renderemo l'America di nuovo grande, e tutto questo varrà il prezzo da pagare. Siamo un Paese che ora viene gestito con buon senso - e i risultati saranno spettacolari!».
Storicamente, il Tariff Act del 1789, la Tariffa del 1816 e la Tariffa McKinley del 1890 non hanno portato alcun beneficio ai lavoratori. McKinley era conosciuto come il «Napoleone della protezione» e ogni sua mossa andava a vantaggio degli interessi dei produttori. Non c'è da stupirsi che Trump voglia dare il nome McKinley al Monte Denali. Più che promuovere l'ideologia coloniale dei coloni, Trump sta segnalando un ritorno a un'epoca precedente al 1913, quando non esisteva l'imposta sul reddito e le politiche protezionistiche erano la politica commerciale dominante.
Le politiche protezionistiche hanno anche un aspetto negativo per i capitalisti. Frederick Engles osservò nel 1888: «La protezione è nel migliore dei casi una vite senza fine, e non si sa mai quando si termina di avvitarla. Proteggendo un'industria, si danneggiano direttamente o indirettamente tutte le altre, e quindi si devono proteggere anche quelle. Così facendo si danneggia di nuovo l'industria che si è protetta per prima e la si deve risarcire; ma questo risarcimento si ripercuote, come prima, su tutti gli altri settori e si traduce in richiesta di risarcimento, e così via all'infinito».
Come sempre ci sarà una corsa forsennata da parte dei capitalisti ad ottenere il massimo profitto possibile nel prossimo periodo. Oltre alle politiche protezionistiche, Trump cercherà anche di tagliare significativamente le tasse per gli investimenti. La classe dominante userà il controllo dell'industria per far scendere i salari reali dei lavoratori e aumentare i prezzi per i consumatori. Il miliardario dei combustibili fossili Charles Koch e la sua organizzazione di destra Americans for Prosperity hanno recentemente pubblicato un prospetto di investimento che delinea un piano da 20 milioni di dollari per fare pressione sui funzionari eletti con migliaia di incontri al fine di approfondire i tagli alle tasse previsti dal Tax Cuts and Jobs Act di Trump del 2017.

 

La falsa retorica di Trump

Le tendenze più reazionarie della classe capitalista fanno molte aperture per riconquistare tutte le concessioni fatte alla classe operaia, alle comunità oppresse e al movimento sindacale dagli anni Trenta e Quaranta fino ai movimenti sociali degli anni Sessanta e Settanta. Trump, in quanto portavoce della classe dominante, utilizza una falsa retorica a favore dei lavoratori per convincere i sindacati e la classe operaia in generale che le politiche protezionistiche invertiranno il degrado della loro vita quotidiana.Ma le politiche commerciali protezionistiche, gli attacchi agli immigrati e alle altre comunità oppresse non risolveranno la reale crisi economica che il capitalismo sta attraversando su scala globale. La realtà per miliardi di lavoratori in tutto il mondo è una maggiore instabilità, salari peggiori e condizioni di lavoro pessime. Qual è la soluzione? Come possono i lavoratori evitare di rimanere intrappolati nei circoli viziosi provocati dai difetti intrinseci del sistema capitalistico?
Se «America First» significa profitti per i ricchi al di sopra dei bisogni della gente e «libero commercio» è libertà per gli imperialisti di sfruttare i lavoratori a piacimento, allora non dobbiamo essere risucchiati dai loro schemi e giocare secondo le regole del loro sistema. Engels scrisse nel 1888: «Un sistema di produzione basato sullo sfruttamento del lavoro salariato, in cui la ricchezza aumenta in proporzione al numero di lavoratori impiegati e sfruttati, un tale sistema è destinato ad aumentare la classe dei lavoratori salariati, cioè la classe che un giorno è destinata a distruggere il sistema stesso». Engels continuava così: «Che proviate il protezionismo o il libero scambio non farà alcuna differenza alla fine, cambierà poco nella durata della tregua che vi rimane fino al giorno in cui quella fine arriverà».
I lavoratori e gli oppressi devono condurre una lotta politica incessante per l'indipendenza dalla classe capitalista nei loro sindacati, nei campus universitari e nelle comunità. Questo significa, ad esempio, che quando la U.S. Steel [multinazionale dell’acciaio] vuole fare un accordo che danneggia i lavoratori, la richiesta dei lavoratori dovrebbe essere quella di aprire i libri contabili dell'azienda per far vedere a tutti come vengono realizzati i profitti, e di trasformare la U.S. Steel in proprietà pubblica sotto il controllo democratico dei lavoratori.
Quando i lavoratori vengono sfruttati dalle aziende statunitensi in un altro Paese o vengono rastrellati alla frontiera militarizzata, i lavoratori statunitensi devono esprimere solidarietà e chiedere la fine dell'ingiustizia utilizzando la loro forza nei luoghi di lavoro.
Quando si tengono le elezioni, i sindacati non dovrebbero più sostenere questo o quel politico capitalista. Dovrebbero invece organizzare ampie assemblee di tutti i sindacati e di tutti i loro iscritti per aprire una discussione sulla possibilità di presentare i propri candidati sotto la bandiera di un partito operaio. L'indipendenza della classe operaia e la solidarietà internazionale sono l'unica strada percorribile per i lavoratori.

 

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